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(Q-2)   La struttura atomica della materia

L'esistenza degli atomi

    Attorno al 1900, si pensava che la fisica degli oggetti macroscopici (sassi e bastoni, mattoni, ossa... ecc.) fosse ben conosciuta (eccetto, come acutamente osservò Lord Kelvin, per qualche dettaglio...). Il moto obbediva alle leggi di Newton, che spiegavano il moto dei corpi celesti con notevole accuratezza. L'elettricità obbediva alle leggi di Ampère, Faraday e Maxwell, e si era scoperto che la luce era un'onda elettromagnetica, una identificazione rinsaldata dalla scoperta delle onde radio da parte di Heinrich Hertz, che le generò mediante una corrente elettrica rapidamente alternata. La tecnologia seguì immediatamente queste nuove conoscenze fisiche e produsse delle ricadute di grande utilità come i motori elettrici, le turbine a vapore, il telegrafo e il telefono, le macchine per produrre il ghiaccio, le aeronavi, e molte altre applicazioni.

    Sotto tutto questo vi erano gli atomi. Tutti gli oggetti materiali sembravano fatti di particelle troppo piccole per essere osservate, ma la cui esistenza poteva essere dedotta da tutta una serie di sottili fenomeni. I fenomeni associati con gli atomi stessi, tuttavia, non erano affatto compresi, per esempio la fisica connessa con i legami chimici, mediante i quali gli atomi si univano per formare le molecole.

    Quando i fisici si trovano a confrontarsi con l'ignoto e hanno bisogno di esaminare varie spiegazioni, essi cercano l'evidenza di ciò che può essere osservato con grande precisione, come il moto dei pianeti, che aveva fornito una riprova concreta delle teorie di Newton. Nello studio degli atomi, sembrava che informazioni precise fossero contenute nelle lunghezze d'onda delle righe spettrali, cioè di quei colori nettamente definiti emessi dagli atomi di un gas luminescente, ciascuno dei quali associato a un tipo specifico di atomo. Così il sodio brillava con una coppia di "righe" color giallo-arancione, molto vicine tra loro (si chiamano "righe" perché è così che appaiono quando vengono osservate con uno spettrografo, che separa la luce proveniente da una sottile fenditura nelle sue componenti di varie lunghezze d'onda). L'idrogeno brilla principalmente nel rosso, e la luce solare contiene una riga gialla (vicina alla coppia di righe del sodio) che in seguito si è riconosciuto provenire da un nuovo elemento, "l'elio" (Helios è il Sole, in greco). L'elio fu poi isolato sulla Terra nel 1895.

    Gli spettrometri possono essere equipaggiati con sofisticati "interferometri" ottici basati sulla natura ondulatoria della luce (argomento accennato in una sezione facoltativa alla fine del programma della lezione per la sezione S-4). Con tale strumentazione viene determinata la lunghezza d'onda di queste emissioni con una sorprendente precisione -- così accuratamente che in seguito l'unità campione di lunghezza, il "metro", è stato ridefinito in termini della lunghezza d'onda di una certa riga spettrale. Precedentemente il metro era stato definito come la distanza tra due tacche di una barra metallica conservata in una cassaforte a Parigi, ma invece questa nuova definizione può essere riprodotta localmente con grande accuratezza, in qualunque laboratorio ben equipaggiato. Sono state misurate molte migliaia di lunghezze d'onda, emesse dai vari elementi atomici, ed esse sembra che ci dicano qualcosa circa gli atomi che le hanno emesse. Tuttavia, la "fisica classica" del 19º secolo non era in grado di dare una interpretazione di tali misure.

    Quando fu riconosciuta per la prima volta l'esistenza degli atomi, alcuni li pensarono come sferette rigide che rimbalzavano tra loro in un gas, oppure che vibravano all'unisono, se inserite in una struttura regolare di un cristallo. Considerando gli atomi di un gas come sferette in collisione tra loro, in particolare, si spiegava molto bene la teoria del calore e le leggi classiche dei gas -- anche la distribuzione non uniforme delle velocità molecolari (o atomiche) in un gas caldo (calcolata da Maxwell, la sua "distribuzione di Maxwell") e sofisticate idee come la seconda legge della termodinamica.

Elettricità e atomi

    Comunque gli atomi hanno delle altre proprietà: essi contengono anche componenti carichi elettricamente. I composti chimici disciolti in acqua possono spesso essere separati facendo passare attraverso di essi una corrente elettrica. Per esempio, l'acqua stessa può essere scissa in idrogeno e ossigeno. Questo processo divenne noto come elettrolisi e le sue leggi furono descritte da Michael Faraday. Lo scienziato svedese Svante Arrhenius correttamente ipotizzò che in alcuni composti chimici, quando vengono disciolti in acqua, almeno alcune delle molecole si convertono in "ioni" carichi elettricamente.

    Quando delle forze elettriche vengono introdotte in una soluzione acquosa, esse attraggono gli ioni positivi in una direzione, e quelli positivi in quella opposta. Questo processo non solo trasporta la corrente elettrica, ma inoltre diverse parti del composto vengono attratte dai due contatti elettrici, nei punti dove la corrente entra o esce dalla soluzione, facendo sì che differenti parti del composto vengano separate chimicamente (a meno che esse reagiscano immediatamente con l'acqua, come avviene quando si cerca di separare chimicamente una soluzione di sale da cucina). Negli anni successivi, nelle scariche elettriche nei gas rarefatti, i fisici sono riusciti a separare i piccoli elettroni, carichi negativamente, come pure gli ioni positivi, i frammenti atomici o molecolari rimasti quando sono stati rimossi gli elettroni.

    Tutto questo suggeriva che esisteva un livello di fenomeni fisici più profondo, che governava il comportamento su scala atomica. Inizialmente ci si aspettava che anche lì valessero le leggi di Newton e di Maxwell: giocatori differenti, forse (atomi, molecole, ioni ed elettroni), ma con le stesse regole. Ci vollero circa 30 anni (1900-1930) prima che una nuova generazione di fisici si rendesse conto che anche le regole cambiavano quando ci si avvicinava alle dimensioni atomiche, e prima che si trovassero nuove regole per sostituire quelle vecchie.

    Ripetiamo quanto si è già detto: questa panoramica non è di tipo matematico. Può aiutare ad avere un'idea del modello generale, ma per utilizzarla in pratica, deve essere impiegata molta matematica, a un livello piuttosto alto. Se pensate di non aver mai bisogno di applicare la fisica quantistica, probabilmente quanto viene esposto qui vi sarà sufficiente. Se invece progettate di studiare la fisica a un livello più profondo, avete bisogno di molto di più, anche se questa introduzione, in ogni caso, vi chiarirà come le varie parti si correlano tra loro e vi fornirà un buon punto di partenza per proseguire nello studio.

La serie di Balmer

        (sezione adattata da una nota storica facoltativa in ILsun5wav.htm)

Spettro dell'idrogeno

Il primo indizio relativo al significato delle righe spettrali venne nel 1885 da Johann Balmer, un insegnante di matematica in un liceo di Basilea, in Svizzera. Di tutti gli spettri atomici, il più semplice è quello dell'idrogeno (la cosa non sorprende, poiché l'idrogeno è il più piccolo degli atomi e presumibilmente il più semplice). In una scarica elettrica (simile a quella che avviene in una lampada tubolare al neon), l'idrogeno emette una serie di righe spettrali, di cui quattro appaiono sulla registrazione fotografica di uno spettrografo (esse sono state indicate con le prime 4 lettere dell'alfabeto greco, come nella figura qui sopra: α, β, γ e δ, in ordine decrescente di lunghezza d'onda). Come si è detto, la lunghezza d'onda λ (lambda) di ogni colore emesso fu misurata molto accuratamente, e Balmer scoperse che i tutti i valori potevano essere ricavati dalla semplice formula:

1/λ = R [1/4   –   1/n2]

dove n = 3,4,5.. e R è la "costante di Rydberg", ottenuta sperimentalmente, e che prende il nome da Johann Rydberg, un fisico svedese che la valutò. (Una traduzione in inglese dell'articolo originale di Balmer esiste sul Web.)

    La "riga" di più basso valore (n=3) è la riga rossa "alfa dell'idrogeno" (indicata brevemente con Hα), responsabile del colore rosso dominante nella cromosfera solare. La maggior parte della luce solare ha origine nella fotosfera, lo strato più esterno del Sole, come lo si vede ad occhio nudo; la luce generata negli strati più profondi viene riassorbita nelle vicinanze stesse del punto in cui viene emessa. Lo strato immediatamente più esterno del Sole, la cromosfera, brilla molto debolmente nel rosso, una luminosità che in origine si riusciva ad osservare soltanto durante una eclisse totale di Sole, quando la Luna blocca la luce molto più intensa della fotosfera.

    La cromosfera emette relativamente poca luce, e il suo contributo è generalmente "annegato" nel bagliore molto più intenso della fotosfera. Esso però diviene visibile durante una eclisse totale di Sole. In quei momenti, quando la Luna copre completamente la fotosfera, si osserva un chiarore rossiccio intorno al Sole, sotto forma di un sottile anello; al di sopra di esso si trova la corona la cui luminosità è ancora più debole.

    La cromosfera è importante perché il luogo dove si verificano improvvise emissioni di energia associate con il magnetismo delle macchie solari -- i cosiddetti brillamenti solari. I brillamenti raramente si verificano in luce bianca, come zone più luminose sullo sfondo della fotosfera (uno di questi rari eventi fu osservato per la prima volta da Richard Carrington nel 1859). Comunque i brillamenti si possono facilmente osservare con dei filtri speciali che trasmettono soltanto la sottile riga Hα e bloccano tutte le altre lunghezze d'onda. Attraverso tali filtri, l'attività dei brillamenti e molte altri fenomeni solari vengono regolarmente tenuti sotto osservazione e fotografati.

    Dopo che Balmer aveva annunciato la sua serie di righe, Lyman trovò nell'ultravioletto un'altra serie di righe

1/λ = R [1   –   1/n2]

delle quali la riga "Lyman α" è particolarmente predominante nel chiarore dell'atmosfera esterna della Terra, fotografata dagli astronauti dalla superficie lunare. Inoltre, Paschen trovò una serie di righe nell'infrarosso

1/λ = R [1/9   –   1/n2]

suggerendo che tutte queste serie appartengano a una stessa famiglia con

1/λ = R [1/n2 – 1/m2]         ( m>n,     n,m = 1,2,3...)

La regolarità di queste serie sembra fornire degli indizi sui processi che avvengono all'interno degli atomi, responsabili dell'emissione di "righe spettrali", con colori nettamente definiti. Ma qual'è il messaggio?